25 gennaio 2007

La scultura comanda ad Arturo Martini:

Fa che io serva solo a me stessa.
Fa di me un arco dello spirito.
Fa che io non sia più rupe, ma acqua e cielo.
Fa che io non sia piramide, ma clessidra per essere capovolta.
Fa che io non sia un oggetto, ma un’estensione.
Fa che io non sia un confronto, ma un’unità.
Fa che io non sia un’immagine, così non mi esalteranno.
Fa che io non sia una pietra miliare dell’uomo, ma della mia natura.
Fa che io non sia una vistosa virtù, ma un oscuro grembo.
Fa che io non sia un peso, ma una bilancia.
Fa che io non serva come una moneta per comodità pratiche.
Fa che io non resti nelle tre dimensioni, dove si nasconde la morte.
Fa che io non sia prigioniera di uno stile, ma una disinvolta sostanza.
Fa che io sia l’insondabile architettura per raggiungere l’universale.
[tratto da La scultura lingua morta (1945); in A. Martini, La scultura lingua morta e altri scritti, a cura di M. De Micheli, Jaca Book, Milano 1982, pp. 101-102] (nella fattispecie, li ho trovati sul periodico del liceo Franchetti)

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